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20 Luglio 2016Abitiamo un periodo storico in cui le nostre possibilità di scelta sembrano potenzialmente infinite. Donne e uomini possono decidere di andare a vivere dall’altra parte dell’emisfero, possono scegliere quale professione intraprendere o addirittura inventarsene di nuove, sono liberi di dedicarsi ai progetti di vita per loro più rilevanti o non fare nessun progetto.
“Vado a vivere in Brasile o resto nel mio paesino di provincia con gli amici di sempre?”
“Mi iscrivo alla facoltà di Lettere Moderne o frequento quel corso per apprendere le basi del web marketing?”
“Continuo a stare con il mio compagno, anche se la relazione sembra essere giunta ad un punto morto, o lo lascio?”
“Metto al mondo dei figli o mi dedico alla costruzione della mia carriera?” (ciò non dovrebbe necessariamente essere una scelta contrapposta, ma questo è un altro discorso…).
Infinite possibilità dicevamo, questo sembra particolarmente bello, se pensiamo che, fino a qualche decennio fa, le nostre possibilità di scelta apparivano molto più limitate: la donna nasceva per essere moglie e madre; il matrimonio – anche se caratterizzato da violenza e sopraffazione – era per sempre. Gli uomini, d’altra parte, erano spesso costretti a seguire le orme paterne, sia per tradizione familiare, sia per reale immobilismo sociale, dunque, il figlio del calzolaio faceva il calzolaio e il figlio dell’avvocato non poteva che fare studi classici per poi finire direttamente a Giurisprudenza.
Bello, tutto estremamente bello dicevamo, eppure quest’epoca che è stata definita con una fortunata espressione società liquida, genera nei suoi abitanti anche tanta confusione, incertezza, stordimento: si fa una cosa, ma si pensa anche a tutte le possibili possibilità inevitabilmente perse. E se stessi sbagliando tutto? E se dovessi veramente aprirmi quel chiringuito alle Canarie? E poi immancabile si staglia all’orizzonte l’opzione nichilista: e se stessi sprecando la mia vita?! Otto ore al giorno in ufficio, il traffico, le bollette, l’assicurazione della macchina, il 730, il matrimonio … forse dovrei andare a vivere in una società meno consumistica, meno intaccata dal capitalismo cattivo. Insomma, le mille possibilità generano mille-e-uno incertezze.
Altra idiosincrasia della nostra contemporaneità è il bisogno ossessivo di avere tutto assolutamente sotto controllo, dalla quantità di calorie introdotte per pasto, al numero di passi fatti durante la giornata grazie all’ultima applicazione sullo smartphone. Tutto programmato, infinite – liste di cose da fare – cose da non dimenticare – obiettivi da raggiungere – tutto opportunamente appuntato nella nostra bullet journal. Insomma ci aggrappiamo a piccole certezze, proprio in questa realtà che non sembra darcene, spuntare una per una le cose da fare dalla nostra lista ci procura un piccolo brivido di piacere quotidiano, la sensazione di avere tutto esattamente sotto controllo, ogni cosa al suo posto. Eppure, lo sappiamo bene, non tutto è programmabile, non tutto è controllabile.
Da questo mix -tra infinite possibilità e necessità di controllo- ne esce un cocktail potenzialmente esplosivo ed alcoolico, nel senso di stordente e quasi anestetizzante. Ovvero persone in preda a dubbi, per le cose più piccole (proteine o carboidrati per pranzo?!) alle questioni più importanti e vitali (resto qui o accetto il nuovo lavoro nella nuova città?).
Se questo stordimento, questa indecisione sono per la maggior parte delle persone ad un livello assolutamente normale, fisiologico, in altre si possono verificare veri e propri blocchi. Vite in stand by. Persone paralizzate dalla paura di commettere errori, di fare la scelta sbagliata, che si tormentano sempre sugli stessi dubbi e domande, senza apparente via d’uscita, tanto da configurarsi un vero e proprio disturbo psicologico: il dubbio patologico.
Il dubbio patologico si caratterizza per la continua presenza di domande alle quali la persona cerca di dare delle risposte, senza però trovarne mai una che senta come appagante e definitiva.
Si tratta di domande che, per come sono strutturate, non ammettono mai una sola ed unica risposta, ma molte risposte possibili, le quali si alternano e accumulano nella mente della persona portandola ad ossessionarsi su quella domanda e su tutte le domande che ne derivano, come un insetto che, cercando di liberarsi dalla ragnatela, si incastra ancora di più.
La persona che soffre di dubbio patologico cerca delle risposte razionali ai propri dubbi, alle proprie domande, ciò si traduce in una continua e infinita rimuginazione. Questo continuo cercare di ragionare per rispondere alle domande crea un loop di domande-risposte, domande-risposte, come se la persona fosse dispersa in un labirinto senza via d’uscita. Nell’intento di frenare il loop di domande e risposte, la persona cerca di “non pensare”, ottenendo però l’effetto contrario, oppure cerca di razionalizzare, ma più cerca di capire, più si “incarta” alimentando così la catena di dubbi. Questi schemi di pensiero possono portare la persona a bloccarsi e a non svolgere più le normali attività quotidiane.
Il dubbio patologico può essere efficacemente trattato con la terapia breve strategica, che, attraverso esercizi appositamente studiati, interviene a spezzare la catena di dubbi – risposte – dubbi – risposte, e contemporaneamente accompagna la persona a ritrovare e migliorare la propria capacità di scelta. Contattami per una consulenza
Dott.ssa Serena Fugazzi – Psicologa Psicoterapeuta a Bologna,
specialista in Terapia Breve Strategica.